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Hezbollah nel perimetro di Arabia Saudita e Iran

Il ciclone geopolitico che negli ultimi anni ha investito l’intero Medio Oriente sembra essere arrivato anche in Libano. Fino ad oggi questo piccolo paese arabo (un delicatissimo mosaico etnico fatto di sunniti, sciiti, cristiani e drusi) era riuscito a tenersi ai margini di quello scontro regionale tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita che sta dando fuoco alle polveri della violenza confessionale in tutta l’area medio-orientale. Beirut fino ad oggi è riuscita a tenersi fuori dalle dispute settarie, memore del trauma causato dalla guerra civile che qualche decina d’anni fa ne aveva compromesso la fragile coesistenza etnica, ma il futuro si fa sempre più minaccioso.

Il ministro degli esteri libanese Gibren Bassil però si è più volte rifiutato di condannare l’accaduto. Si pensa che l’obbiettivo di tale imparzialità sia evitare volutamente qualsiasi presa di posizione a favore di una o dell’altra fazione, così da mantenere il Libano neutrale e scongiurare perciò l’irrompere della violenza confessionale nel contesto nazionale. Tuttavia a qualcuno questo silenzio non è piaciuto, considerandolo come un silenzio-assenso verso gli iraniani: parliamo dei sauditi. Fino ad oggi un tacito patto aveva fatto sì che nessuna delle due potenze musulmane rivali toccasse il Libano (sede di importanti investimenti e interessi sia di Riyad che di Tehran) e cercasse di portarlo nel proprio campo: il paese mediterraneo era così riuscito a tenersi fuori dal perimetro dello scontro tra Iran e Arabia Saudita, pur essendo il suo sistema politico diviso e orientato in senso filo-saudita o filo-iraniano. Quest’ultimo tuttavia non è un fatto secondario: il silenzio delle istituzioni libanesi, giudicato da Riyad complice, è dunque stato imputato al fatto che Hezbollah (il partito che funge da colonna alla coalizione sciita-cristiana filo-iraniana attualmente maggioritaria) sia riuscito a mettere sotto proprio controllo l’intero apparato statale libanese. Il partito sciita, guidato da Hassan Nasrallah, è il principale mezzo d’influenza degli ayatollah sul paese e un alleato strategico nella regione: ma mentre sul piano internazionale ha attivamente preso parte ai conflitti della regione (Siria, Iraq e Yemen su tutti) a sostegno delle locali fazioni filo-iraniane o sciite, in patria nonostante l’enorme peso politico-militare ha assunto un atteggiamento molto più morbido e orientato verso lo stemperamento delle tensioni confessionali, coerentemente con l’intesa regionale per mantenere il Libano neutrale e pacifico.

L’ipotetica presa in ostaggio del Libano da parte di Hezbollah è dunque all’origine della spinta dell’Arabia Saudita per rivedere i suoi rapporti col Libano. Il 19 febbraio le autorità saudite hanno cancellato $4mld di aiuti all’esercito libanese, misura alla quale hanno poi fatto seguito l’imposizione di sanzioni a società e uomini d’affari (sciiti e cristiani) libanesi giudicati vicini ad Hezbollah, l’interruzione della partnership con le banche libanesi e l’invito a non recarsi in Libano rivolto dal ministro degli esteri saudita ai suoi connazionali, il tutto avvallato dai quattro alleati del golfo. La mossa è dunque un colpo molto duro inferto sia sul piano economico che su quello militare ad un paese in bilico: bisogna qui ricordare che il Libano già di per sé vive in un equilibrio precario, dove alla suddetta incertezza politica si aggiunge la crisi economica, l’afflusso massiccio di profughi siriani, la fragilissima bilancia etnico-politica e la debolezza delle istituzioni (basti pensare che le capacità del braccio militare di Hezbollah equivalgono quelle dello stesso esercito libanese).

Riyad però non si è fermata qui. Il 2 marzo il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), che comprende tutte le petro-monarchie del golfo guidate da casa Sa’ud, ha dichiarato Hezbollah come un’organizzazione terrorista mentre l’11 marzo è stato il turno della Lega Araba, il cui consiglio dei ministri degli esteri si è pronunciato in tal senso ad eccezione delle voci contrarie dell’Iraq e del Libano stesso. A livello interno inoltre l’Arabia Saudita nel 2013 ha imposto sanzioni al partito libanese per essere intervenuto nelle guerra civile siriana a fianco del governo di Assad, la cui caduta è una delle architravi della politica estera saudita. Infine nell’ultimo periodo l’impegno per sradicare le vere o presunte cellule di Hezbollah (e agenti iraniani) operanti nei paesi del golfo si è fatto sempre più serio, fino a portare il regno ad annunciare nei giorni scorsi deportazioni e pene molto dure per affiliati e simpatizzanti al partito libanese presenti sul proprio suolo.

La revisione dei rapporti col Libano e la nuova offensiva contro Hezbollah sono parte del nuovo corso inaugurato l’anno scorso con l’ascesa al trono di re Salman, foriero di una politica maggiormente aggressiva e assertiva. L’idea dietro gli ultimi sviluppi sembra essere quella di isolare il partito sciita a livello politico e creare un maggior distacco tra questo e la popolazione libanese, situazione di cui la fazione sunnita filo-saudita dovrebbe approfittare per aumentare il proprio peso. Tuttavia il rischio di un tale disegno sembra da un lato quello di indebolire il Libano nel suo complesso e dall’altro di infiammare quella contrapposizione settaria che nel paese non ha mai veramente fatto breccia.

Esistono però dei limiti alla strategia saudita. In primo luogo, la convergenza della popolazione libanese verso la fazione filo-saudita potrebbe non verificarsi, visto che la società potrebbe sentirsi punita collettivamente (anche quella fetta di scontenti dell’influenza di Hezbollah) dalle misure saudite: gli stessi inviti al ripensamento da parte della coalizione filo-saudita sembrano avvalorare questa ipotesi. Inoltre per sradicare la diffusa influenza del partito sciita servirebbe un livello di tensione confessionale ben al di sopra di quello che i libanesi sono disposti ad accettare.

In secondo luogo l’inclusione del Libano da parte dell’Arabia Saudita nel perimetro dello scontro con l’Iran potrebbe portare anche Tehran a cambiare la sua linea e intervenire più apertamente a massicciamente nel paese per sostenere il peso dell’auto-estromissione saudita. Il ministro della difesa libanese ha infatti annunciato di voler pendere in considerazione le offerte dell’Iran, che si è dichiarato disponibile a sopperire ai mancati aiuti militari sauditi. L’influenza dei pasdaran su Beirut potrebbe dunque farsi ancora più forte.

C’è poi un’ultima considerazione da fare. Impegnato in vari teatri esterni e con la persistente minaccia di guerra con Israele, Hezbollah non può permettersi un clima di alta tensione in Libano:in effetti, se sul palcoscenico internazionale questo ha preso una netta posizione nel confronto regionale tra sauditi e iraniani, sul piano interno Nasrallah si pone su posizioni molto più concilianti evitando così strappi troppo significativi. Questo atteggiamento ha dunque permesso al Libano di riparare le proprie dinamiche politiche dalla radicalizzazione settaria che attraversa il resto della regione, imponendo un consistente diaframma tra Hezbollah fuori dal Libano e dentro il Libano. Si pensa che sia questa distinzione che l’Arabia Saudita punti a distruggere con la sua revisione dei rapporti con Beirut.

Tuttavia resta ancora molto da chiarire su quest’ultimo punto. Ad esempio è difficile stimare se il consenso per preservare il Libano dalle contese regionali resisterà, in quale misura l’Iran deciderà di subentrare a sostegno diretto (e visibile) del paese dopo il disimpegno saudita e se Riyad controbilancerà tale nuova posizione con maggiori aiuti alla coalizione sua alleata nel paese mediterraneo.

Ad ogni modo, a breve termine l’influenza di Hezbollah sul Libano non sembra destinata a diminuire considerevolmente: sradicare il potere del partito sciita non sembra un obbiettivo realistico a meno di non pagare il prezzo di un alto livello di radicalizzazione e conflittualità confessionale, situazione che tuttavia non si può neppure escludere a priori vista la svolta dell’atteggiamento saudita verso un paese già di per sé a molti livelli fragile. Quel che è sicuro è che ormai neanche il piccolo Libano sembra più capace di potersi tenere fuori da quel perimetro che delimita lo scontro per l’egemonia regionale tra Iran e Arabia Saudita.

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